L’odore è quello di colonia da supermercato: gente che s’è impomatata per bene, che ci tiene e poi finisce che esagera. Se fai tanto di sentirtelo addosso una volta quel dolciastro, poi diventa un riflesso incondizionato: ovunque basterà una zaffata per rivederti all’improvviso lì dentro. Anche in pieno giorno, anche su un bus qualsiasi. E ti verrà di guardarti alle spalle. La Madame – il suo nome nessuno lo sa – con quel suo accento francese, accoglie i suoi ospiti con una nota sul tempo (“fa caldo, cominciano tutti ad andare al mare”), con un cenno sulla serata (“pienone stanotte”), con qualcosa di confidenziale (“era da un po’ che non vi vedevo”). E’ suo il club privèe.
In uno scampolo di città, meno di un isolato, c’è un concentrato di mondo. Periferia ma non troppo. Quella anni ’60, dell’urbanistica gloriosa e delle nuove centralità. Un ponte. Sotto, ferrovia e graffiti di chi altrove ora chiamano artista (qui si dice ancora degrado). All’ombra del ponte l’anonima palazzina: da in cima al cavalcavia si nota solo una piccola altana sempre illuminata, l’angolo dei fumatori. Due piani, bifamiliare. A prendere la porta della vetrina si entra in un centro islamico. A prendere la porta in stile inglese, nel club degli scambisti più frequentato in città. L’unico: Bologna sarà anche godereccia, ma non è una metropoli. Eppure ci sono sere d’inverno che il parcheggio straripa di auto. E la rumba continua fino a notte fonda.
Nei giorni di Ramadan, al cancello sotto il ponte gli islamici, con le loro barbe lunghe, lasciano il passo alle macchine di gran marca. I due mondi s’ignorano: i secondi per pudore, si capisce, i primi chi li capisce?
“Buonassssera”, è il benvenuto di Madame che porge la chiave per l’armadietto in cui custodire gli effetti personali, come in piscina. Una scala a chiocciola e le luci si fanno basse. La ‘stanza di decompressione’ tra la normalità e la trasgressione è il bar, coi suoi divanetti sdruciti e l‘angolo del buffet: un cabaret per i mignon dolci, uno per pizzette o salatini. Da festa di compleanno in ufficio, raffazzonata tra colleghi. Qui è dove umori e ormoni si dovrebbe scaldare: un gin tonic, un po’ di musica, il palo per la lap dance sempre deserto. Qui dovrebbero nascere i primi approcci tra coppie. Invece, tutti sulle loro, appiccicati a due a due, muti. A stento si guardano intorno. Visti qui, dove, c’è ancora un po’ di luce prima del quasi buio della stanza del sesso, sembrano tutti degli insospettabili, semmai la sessualità sia qualcosa che s’intuisce dalla faccia o dall’abito della gente. C’è gente in età, signore che s’improvvisano su tacchi malfermi, giacche e cravatte. Gente che in un salotto tra amici, alla riunione dei condomini bolleresti come fuori da ogni tentazione.
Il rito vuole che senza preavviso (nella zona di decompressione nessuno si tocca, si sbaciucchia, niente di niente) una coppia si alzi. Se sono novelli non si mollano: mano nella mano, con lei che si appende un po’ alla spalla del compagno. Con la dimestichezza le mani si sciolgono e si cammina più spavaldi.
Altra scala a chiocciola: chi sale oltrepassa la linea d’ombra della propria intimità. Nell’anticamera della trasgressione sono relegati i singoli: quota d’ingresso molto più alto rispetto a chi arriva in due, per un sesso pietito alle coppie che li usano per le loro fantasie senza guardare in faccia a nessuno, semmai si bada alla prestanza genitale. Qui comandano loro, quelli ‘regolari’. E chi è solo deve stare alle loro regole del gioco. “Si richiede rispetto”, è il mantra.
Nella stanza delle coppie si entra con la carta magnetica fornita all’ingresso. Chi entra qui, a volte si è dato appuntamento con altre coppie da uno dei tanti siti internet specializzati. Gli abituali frequentatori si ritrovano ed è come un rivedere gli amici di un’altra città alla solita pensione delle ferie d’agosto: “come stanno i figli?”. Oppure, più atleticamente, “stasera sono carichissimo”.
Luci basse, tendenti al rossiccio, colore del sesso senza fronzoli. Sottofondo di musica fuori tema: italiana anni Ottanta. Un grande letto tondo al centro è per i più arditi, quello di lato è in vetrina, a favore di vista (ma non di tatto) dei singoli rimasti fuori, tutt’attorno i divanetti lunghi e stretti per quelli contenti di essere solo voyeur, di qualche palpeggiamento.
E’ in questi pochi metri quadrati tappezzati di moquette e di lenzuolini sintetici che gli insospettabili si trasformano, acquistano sensualità impensabili, spazzano via in un colpo i canoni delle bellezze da riviste patinate. Qui si ‘gioca’, si dice in gergo. E l’eccitazione cresce respirando l’eccitazione altrui.
grazie a chi mi ha regalato questa storia