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Repubbliche balcaniche di Internet


di FABIO GAMBARO
«IL web non è un realtà uniforme e monolitica. Non esiste un solo internet, ma tanti internet diversi. E in questo puzzle complesso, invece della tanto paventata uniformità culturale, si sviluppa una sempre più marcata diversità di contenuti e prospettive. Al punto che gli americani cominciano a temere una vera propria “balcanizzazione” della rete». È questa una delle tesi principali di Smart, il nuovo documentatissimo saggio di Frédéric Martel, da poco uscito in Francia. Il sociologo francese — noto anche in Italia grazie a Mainstream ( Feltrinelli), di cui oggi riprende la riflessione sulle guerre culturali, ma trasferendola sul terreno specifico d’internet — vi presenta i risultati di un’inchiesta condotta nei cinque continenti.
Da quell’indagine nasce una nuova e molto interessante cartografia della rete: «Nonostante il dominio dei grandi gruppi americani sul piano dei software e delle piattaforme sociali, in realtà l’universo della rete è sempre più frammentario e territorializzato », spiega Martel, che dopodomani sarà al Cortona Mix Festival per parlare del suo ultimo saggio uscito in Italia, Global Gay (Feltrinelli, pagg. 324, euro 18 ), un’inchiesta internazionale sui molti volti del movimento omosessuale. «Dalla Cina al Brasile, dall’India alla Russia, dal Sudafrica al Medioriente, un po’ ovunque nel mondo sta emergendo un internet locale, che veicola lingue, prospettive e contenuti legati a realtà geografiche precise».
È per questo che gli americani parlano di balcanizzazione?
«Gli americani difendono un modello d’internet globale controllato da loro, per cui temono ogni iniziativa cinese, indiana o europea. Nonostante la loro opposizione, il carattere frammentario d’internet è però destinato ad accentuarsi. Proprio perché nei prossimi anni gli individui connessi alla rete passeremo da 2,7 a 5 miliardi, i siti, le reti sociali, i contenuti a carattere locale saranno sempre di più. Certo, in rete continueranno a non esserci frontiere fisiche, e molti programmi e strumenti continueranno ad avere un carattere globale. Tutto ciò però non impedirà l’esistenza di nuove frontiere simboliche, linguistiche, culturali e comunitarie. Internet sarà sempre più un puzzle, nel quale la balcanizzazione tanto temuta dagli americani finirà per realizzarsi per davvero».
Perché ha intitolato il suo libro Smart?
«Smart significa intelligente, ma è diventato di fatto un sinonimo d’internet, dando luogo a diversi termini — smartcity, smartphone — che evocano una realtà sempre più dipendente dal web, dalle reti sociali, dagli algoritmi. Il mondo smart offre a getto continuo una somma infinita d’informazioni e conoscenze che possono trasformare radicalmente la nostra vita quotidiana. La rivoluzione smart è un fenomeno epocale».
Esiste anche una cultura smart?
«Sono cresciuto in un’epoca in cui la cultura era legata al possesso di oggetti: libri, dischi, dvd. Oggi l’oggetto culturale tende a scomparire, diventando piuttosto un servizio. Non possiedo più un libro, un disco o un film, ma lo affitto il tempo necessario alla fruizione grazie a un abbonamento ai servizi cloud. Diventando un servizio, la cultura si trasforma e cambia statuto. E in definitiva evolvono anche i suoi contenuti, i quali non sono più unità distinte, ma un flusso che può essere sviluppato su diversi formati. L’idea di unicità dell’oggetto artistico rischia di tramontare, dato che non parleremo più di un film o di un libro, ma di una contenuto — ad esempio una storia — che di volta in volta potrà diventare un libro, un film, un videogioco, un manga o una serie tv. Le forme tradizionali degli oggetti culturali saranno sempre più ibride, dando luogo a nuovi formati in movimento e continuamente aggiornabili, i quali oltretutto saranno in grado di raccogliere tutta una serie d’informazioni sui nostri gusti e comportamenti. Non sarà più il lettore che legge il libro, ma il libro che legge il lettore».
Le comunità e le reti sociali come incidono sulla fruizione della cultura?
«Con la dematerializzazione, la cultura diventa sempre più condivisa e di proprietà collettiva. Di fronte a questa evoluzione, intellettuali come Alain Finkielkraut o Raffaele Simone denunciano i rischi di una standardizzazione al ribasso dei contenuti e delle culture. In realtà, quello che accade nel web è molto diverso. Certo, esiste una cultura mainstream globale — quella ad esempio che consente a un video di Shakira di essere visto da milioni di persone di persone ai quattro angoli del pianeta — ma è solo una componente marginale dell’insieme dei contenuti presenti nello sterminato universo della rete. Secondo me, la minaccia non è l’uniformità, ma eventualmente quella opposta, vale a dire l’eccesso di frammentazione con tutti i rischi di comunitarismo che ne conseguono. Il rischio è che ciascuno si rinchiuda esclusivamente e ossessivamente dentro il proprio frammento specifico di cultura, rimanendo prigioniero della propria monomania o della propria sottocultura».
La rete democratizza l’accesso alla cultura e parallelamente cambia i meccanismi di valutazione, gerarchizzazione e prescrizione…
«Il web è caratterizzato da un abbondanza culturale senza uguali, che però pone l’annoso problema dell’orientamento all’interno di quello che è un vero e proprio labirinto. Ad esempio, grazie agli algoritmi, che non sono necessariamente sinonimo di semplificazione e banalizzazione, visto che possono ancheorientarci verso contenuti sempre più specifici. Ma accanto agli algoritmi, oggi contano sempre di più le raccomandazioni personalizzate attraverso le reti sociali. Queste nuove forme di prescrizione, evidentemente, rimettono in discussione il monopolio delle élites detentrici del gusto e della critica tradizionale».
Secondo alcuni questo tipo di prescrizione favorirebbe raccomandazioni basate sulle sensazioni immediate — mi piace o non piace — più che sulla riflessione critica.
«Chi crede che twitter con i suoi 140 caratteri rappresenti il grado zero del pensiero si sbaglia. Come pure si sbaglia chi teme che in rete il parere del dilettante valga di più di quello dell’esperto. Alla fine la qualità, se dimostrata e argomentata, vince sempre. Oltretutto, la collaborazione collettiva, come dimostra Wikipedia, produce informazioni, giudizi, raccomandazioni sempre più sofisticate. È vero però che l’accessibilità d’internet rimette in discussione le posizioni di rendita dei mandarini della cultura. Insomma, il web moltiplica le opportunità di accesso alla cultura e alla conoscenza, soprattutto se lo si guarda dalle periferie del mondo, dove può trasformare radicalmente le conoscenze e la vita delle persone. Dobbiamo smetterla di guardare internet semplicemente dal punto di vista dell’Occidente».
da Repubblica – 28 luglio 2014

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