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saremo tutti nigeriani



C’è l’Africa nel nostro passato. Centomila anni fa, l’umanità è partita dagli altopiani del continente nero per colonizzare il mondo. E c’è l’Africa nel nostro futuro. Entro questo secolo, il grosso degli uomini e delle donne che popolano il pianeta sarà originario dell’Africa. Un extraterrestre che, nel 2100, facesse una visita mordi-e-fuggi sul nostro pianeta e ci dovesse descrivere brevemente riferirebbe che, per lo più, i nostri nipoti e pronipoti hanno la pelle nera e i capelli crespi. Almeno quattro persone su dieci, di quelle che avrebbe incontrato sarebbero africane. Molto più che cinesi e indiane. E gli europei? Be’, l’extraterrestre dovrebbe aver fortuna per trovarli. Praticamente invisibili, una sparuta minoranza: uno su dieci.
La popolazione della Terra cresce, infatti, un po’ più lentamente che negli ultimi decenni, ma continuerà a crescere, soprattutto in Africa. Almeno questo è l’ultimo messaggio che arriva dai computer dell’Onu. Di cui è bene fidarsi fino a un certo punto. I dati sul boom demografico africano correggono, in parte, la previsione che la stessa Onu aveva fornito un anno fa, quando si pensava che la crescita della popolazione fosse destinata ad arrestarsi nei prossimi decenni. Invece no: andrà avanti
anche dopo il 2050. Succede, con le proiezioni. Quelle demografiche si basano, sostanzialmente, su due fattori. Il primo è l’aspettativa di vita. Salvo catastrofi imprevedibili (una pandemia? Il cambiamento climatico?) è molto probabile che uomini e donne, grazie ai miglioramenti igienici e sanitari, vivranno più a lungo: 89 anni, in media, nei paesi ricchi, 81 in quelli che lo sono un po’ meno. L’altro fattore è molto più volatile. È la fertilità delle donne: quanti bambini ognuna di loro mette al mondo. Il problema, più che fisiologico, è culturale: dipende soprattutto dall’età del primo parto. Scolarizzazione, urbanizzazione, aumento del reddito, di solito, la ritardano. Ma gli esperti dell’Onu avevano, a quanto pare, sopravvalutato questi fattori. La fertilità è più alta del previsto. Il risultato è che, oggi, siamo un po’ più di sette miliardi e, con i nuovi conti, saremo un po’ più di otto nel 2025, appena meno di dieci nel 2050, circa undici nel 2100. Miliardo più, miliardo meno (10,9-11,3 miliardi è il range medio ipotizzato).
Lagos, Kinshasa, Addis Abeba, Dar es Salaam, anche Niamey. Sono queste le metropoli-boom dei prossimi decenni. I paesi destinati a una più rapida crescita di popolazione sono, in effetti, paesi di cui parliamo poco, se non mai: Nigeria, Congo, Etiopia, Tanzania, Niger. L’Africa che ha oggi, sparsi fra savane, foreste e deserti, poco più di un miliardo di abitanti, ne avrà, prevede l’Onu, più del doppio (2,4 miliardi) nel 2050 e quattro volte tanto (4,2 miliardi) a fine secolo. Più di Cina e India messe insieme. La politica del “figlio unico” di Pechino si prepara, infatti, a dispiegare i suoi effetti: dal 2030, la popolazione cinese comincerà a diminuire e potrebbe assestarsi poco sopra il miliardo di persone a fine secolo. Quando, invece, gli indiani saranno, più o meno, un miliardo e mezzo. Oltre il doppio degli europei, destinati a restare, grossomodo, come oggi (640 milioni contro gli attuali 740 milioni). Se cercate partner biondi e con gli occhi azzurri, insomma, dovrete aver pazienza. Più facile, d’altra parte, che ne troviate candidi e con occhi acquosi, vagamente chiari.
Grazie all’allungamento delle aspettative di vita, l’età media di uomini e donne, nei prossimi decenni, è destinata a salire. Anche i paesi in via di sviluppo, più che paesi di bambini e adolescenti, saranno paesi di giovani adulti. Solo l’Europa sarà terra di vecchi, con età medie degli abitanti vicine ai cinquant’anni. Nel 2050, in Italia, ci saranno cinque milioni e mezzo di bambini sotto i dieci anni e oltre quattro milioni e mezzo di over 85. Nel 2100, il sorpasso sarà compiuto: 5,2 milioni di bambini, contro oltre sei milioni di “nonni” (compreso mezzo milione di gagliardi centenari).
Basterebbe questo squilibrio per indicare che il grande fenomeno dei prossimi decenni saranno le possenti correnti di migrazione attraverso il globo. L’Onu prevede che, da qui al 2050, ogni anno trecentomila persone lascino il Bangladesh, e altrettante la Cina e l’India. Dal Messico partiranno in oltre duecentomila e dal Pakistan centosettantamila l’anno. Dove andranno? Gli Stati Uniti devono prepararsi ad assorbire un milione di nuovi immigrati l’anno, circa duecentomila ognuno per Canada e Gran Bretagna. In Italia se ne aspettano oltre centotrentamila l’anno, fino al 2050. In questa fiumana, l’Africa ha un posto di primo piano. Fino a oltre metà secolo, mezzo milione di persone abbandonerà, ogni anno, il continente, per più di metà dai paesi al di sotto del Sahara. La pressione a emigrare dovrebbe attenuarsi negli ultimi anni del XXI secolo, fino ad azzerarsi all’inizio del XXII. L’Onu non ne spiega il motivo, ed è un peccato, perché non si capisce. Altri dati, dello stesso rapporto, infatti, indicano una pressione demografica sempre meno sostenibile: in Nigeria, in viaggio verso il miliardo di abitanti, la densità di popolazione, oggi di duecento persone circa per chilometro quadrato, a livello del-l’Italia, dovrebbe passare a un incredibile 989 persone per chilometro quadrato. Pare inverosimile che questa pressione non si riversi all’esterno.
Non è la sola ragione per cui le previsioni Onu in materia di migrazioni appaiono ottimistiche. Il rapporto si limita a considerare i numeri della demografia. Incrociateli con quelli del riscaldamento globale e il risultato è una miscela esplosiva. A fine secolo — secondo gli ultimi dati — la temperatura potrebbe essere salita di quattro o cinque gradi. Ma questa è una media mondiale. Ai Tropici sarà di più. Sei o sette miliardi di persone vivrebbero in paesi largamente desertificati, con un’agricoltura distrutta: migrazione, a questo punto, è un eufemismo. La parola giusta, probabilmente, è esodo. Milioni di persone in marcia, senza più niente alle spalle: su scala globale. L’umanità non ha probabilmente mai dovuto affrontare una prova più difficile.
Il brutto è che, anche a voler essere ottimisti per forza, non si arriva molto lontano. Immaginiamo, infatti, che l’effetto serra venga, invece, sconfitto e la diffusione di un generale benessere spenga l’ansia di migrare. Un mondo abitato
da serene classi medie. Cosa pensate che mangeranno? È bastato che i cinesi benestanti cominciassero
a manifestare interesse per bistecche e latte per far saltare gli equilibri alimentari mondiali. Non ci sono abbastanza vacche e abbastanza spazio per mettercele. Peraltro, non ci sono neanche abbastanza cereali per dare una birra a ogni cinese. Prima o poi, bisognerà pure far di conto sulle risorse disponibili. Non sarà un secolo facile.

di Maurizio Ricci
da La Repubblica – 21 luglio 2013

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