Un giorno le avrebbe fatto piacere sapere cosa stava sotto quel dramma o quelle farse (ancora non aveva capito) a cui assisteva quotidianamente, dove stava il vero di tutto quel detto che dal vero fuggiva a gambe levate.
Guardava il mondo da un oblò, sebbene quello fosse l’incipit di una canzone di gioventù. Se ne trovata invischiata fino al midollo, per passione e partecipazione, ma sempre con gli occhi del marziano.
“Sei matta”, dicevano. Ma quello era niente rispetto a ciò che confidava di riuscire a fare in vecchiaia. A settant’anni – questo il confine che si era data – con la scusa dell’età avrebbe mollato ogni freno. Avrebbe detto tutto a tutti; non che ora si tenesse per sè poi così tanto. Avrebbe riso a crepapelle di tutti. Si sarebbe permessa ogni stranezza, puntando sul fatto – dice la vulgata – che menopausa, pensione e vecchiaia giocano brutti scherzi. Che grandiosa libertà!
Anche il fisico l’avrebbe assecondata in questa sua rivincita: i tettoni a davanzale, il ventre prominente in un tutt’uno con i fianchi e due gambetti dalle caviglia sottili innestati per caso sotto la stanella (la gonnella, per i non autoctoni). E poi quel caldo, quelle guance rubizze tutte le volte che sarebbe entrata in un posto chiuso. “È matta”, avrebbero ripetuto gli altri vedendola che si sventolava in pieno inverno. E lei, invece, giù risate e sguardi di commiserazione per tutte quelle mosche dalle zampette inchiodate nella colla, dallo sguardo basso e incolore. Ci vediamo tra un po’, disse alla futura sè a pochi giorni dal compleanno.
in pensione coi figli del dopolavoro