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Anija – la Nave



Racconta di “avere costruito la storia con immagini che stavano già lì”, che non “si è trattato di riorganizzare” il materiale di archivio, foto e filmati, ma “come sempre si tratta di saper scegliere”.
Roland Seiko, documentarista albanese, da tempo italiano e impegnato presso l’Istituto Luce, ha raccontato in modo magistrale, in un film, ancora prima che un documentario, un storia che ha vissuto da protagonista: quella dell’Esodo – come lo chiama chi lo ha vissuto – che dal 1991 portò migliaia e migliaia di suoi connazionali in Italia, liberi per la prima volta dopo 40 anni di isolamento dal mondo, da quello Occidentale, ma anche da quello comunista a cui comunque facevano riferimento.
Il film è “Anija – La Nave”. La nave è la Vlora, quella su cui nell’agosto 1991 viaggiarono gli albanesi che dal porto di Durazzo partirono con poco o niente addosso, alla ricerca di qualcosa che viene ancora prima di ‘una nuova vita’. “Pane e acqua; solo questo – dice un bambino biondo e magrissimo, a tavola -. Niente frutta. Non c’è frutta in Albania”.
Rolanda Seiko, spulciando tra gli archivi, fa un lavoro stupendo: raccoglie filmati e fotografie di quelle agghiaccianti giornate. Scene di massa, di gente accalcata come in un formicaio su rottami di navi che faticano a muoversi. In mezzo a questo esodo collettivo, a questa Storia (quella con la maiuscola), Roland ha la sensibilità, l’occhio, di andare a cercare la storia dei singoli, di un uomo arrampicato e in bilico su una fune con le ciabatte infilate nelle braccia per non perdere il suo solo bagaglio, di una ragazza con la maglia a strisce bianche e rosse che scende dal pullman agitando le braccia in segno di giubilo, di tutti questi volti scarni e segnati che spuntano tra le dita di una mano che fa il segno della vittoria.
Roland era con loro, eppure rimane in un silenzio efficacissimo nel racconto di queste storie, semplicemente le compone con grazia, con discrezione, andando a togliere, piuttosto che ad appesantire. Senza orpelli e senza retorica. E tu che guardi, tocchi con mano una storia vicinissima, nel tempo e nella distanza chilometrica, ma che abbiamo in gran parte rimosso.
C’è una foto di un mio amico in questo documentario, una sola ma che di suo è un racconto nel racconto, un film nel film. A lui devo la fortuna di avermi fatto conoscere l’Albania. Con gratitudine.

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