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Massimo Osti. L’uomo che cambiò stile indossando il piumino


Democratico e innovativo: raccoglieva divise e capi da lavoro, li rimasticava come nessuno osava allora far nella moda e li rimandava fuori in forma di giacche “di strada”, per tutti i giorni. Cose, però, mai viste prima. I suoi marchi, in particolare Stone Island, se li contende ancora oggi in rete un pubblico di collezionisti e fanatici, disposto a spendere fortune. Ma è forse l’unico protagonista del mondo della moda ad avere sacrificato il suo nome a quello delle sue etichette.
Massimo Osti, designer bolognese ancor più che stilista, «geniale interprete di un know how creativo che è alla base dell’unicità del Made in Italy», scrive Paolo Zegna, è morto ormai da sette anni fa. Il 25 settembre uscirà il volume (edito da Damiani) che per la prima volta raccoglie il suo lavoro: quattrocento
pagine, ricchissime di foto, documenti, dettagli, spiegazioni che solo in parte riescono a restituirne l’universo creativo. Osti era un insofferente e un innovatore, scrive l’amico filosofo Stefano Bonaga, autore di uno dei testi. Anzi, «il fatto che fosse insofferente significava anche che non poteva che essere un innovatore, perchè le cose così come erano non gli andavano bene». «Ideas from Massimo Osti» è il titolo del volume, curato da Daniela Facchinato Osti, che il 5 settembre debutta a New York, presentato alla Parsons School, prestigioso istituto dedicato al design. Là, nel 1991, Osti aprì un negozio a suo nome, al piano terra del celebre Flatiron. Tre ampi capitoli raccontano quella che in realtà è solo una parte del mondo di Osti. Si parte coi tessuti. Ossessiva era la sua ricerca, in un’epoca, gli anni ‘70 e ‘80, in cui la moda maschile era fatta solo di materiali tradizionali. Lui la riempì di lane e cotoni gommati. Il secondo capitolo racconta le linee d’abbigliamento. Osti è stato l’unico stilista ad aver messo insieme un archivio di 33mila capi raccolti tra mercatini militari e delle pulci (oggi è stato venduto a Hong Kong). Lui copiava da lì, le grandi firme si sarebbero poi ispirate alle sue collezioni. L’ultima sezione è quella sulle forme. Non c’è guardaroba oggi che non contenga almeno una giacca di piumino. Fu Osti a sdoganarla da capo esclusivamente da montagna.
Il libro sarà presentato a Bologna in ottobre. Con un rammarico. «Manca tutta l’attività politica di Massimo e il suo essere per Bologna un catalizzatore di energie, di talenti», sostiene la Facchinato. «Massimo era un uomo interessante – scrive ancora Bonaga -. Per divertimento possiamo dire che “interesse” etimologicamente viene da inter-esse, cioè “essere fra”. E cioè ascoltare le persone, le cose e gli oggetti; certo, anche i vestiti».
di Francesca Parisini
da Repubblica Bologna del 31 agosto 2012
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